Nel
Comune di Alpignano sono avvenuti due fatti molto gravi, che hanno
sensibilmente peggiorato la vita dei cittadini, e hanno gettato
questo paese nel buio: la ancora più rigida demarcazione della linea
ferroviaria, rendendola pressoché invalicabile, e la chiusura
improvvisa e immotivata di una scuola primaria, in una zona molto
popolosa. Una scuola per i bambini, una scuola pubblica, un servizio
essenziale, una scuola di tutti. La
conseguenza è stata una catena di disagi, un penoso adattamento, i
cui danni sociali sono a oggi incalcolabili.
Su queste due vicende si è misurata l'impotenza dei cittadini a
ostacolare scelte che li danneggiano, a far retrocedere chi
cinicamente guarda a interessi diversi da quelli del bene comune.
Di
fatto, tutto ciò non fa altro che peggiorare la reputazione della
politica.
Noi
vorremmo avere nuovamente la possibiità di raccontare la nostra
storia, far capire come è nato il nostro movimento civico, ma non
c'è spazio in queste righe. Lo faremo sul prossimo numero, perché è
importante ricordarlo, dato che tra un po' assisterete
a una proliferazione di liste civiche,
come se cambiare nome servisse anche a cambiare faccia.
Tutti
noi auspicavamo un reale cambiamento di direzione. Invece ci siamo
trovati di fronte a una linea di continuità, che da vent'anni
conduce Alpignano verso un'unica direzione: il peggioramento
della qualità della vita.
Non c'è una singola persona, in Alpignano, che oggi possa affermare
il contrario. E la causa non sono i tagli.
Dinanzi
ai continui proclami dell'auto-propaganda, portata avanti da Sindaco
e forze politiche che lo sostengono, vorremmo prendessero la parola
sia i residenti, che sono rimasti confinati al loro borgo oltre la
ferrovia, sia tutto il mondo che ruota intorno alla scuola: bambini,
genitori, nonni, insegnanti, personale.
Perché
non è possibile pensare di aver bene amministrato questa città e
portare a casa come risultato solo una nuova fontana. È inutile
scrivere programmi faraonici, quando l'unica cosa che serve in questo
paese è riprendere
in mano tutto da capo e rimettere in ordine le cose.
Che
si prospettassero anni di riduzione di risorse pubblche era chiaro a
tutti noi, già dalle scorse elezioni. Era un leitmotiv
già allora e non di certo una imprevedibile novità di oggi.
Questa
ossessione della mancanza di risorse e delle “eredità”
sconvenienti è un tormentone che non convince più nessuno e che non
vogliamo più ascoltare.
È l'autogol che mette semplicemnte in evidenza la debolezza di chi
non possiede gli strumenti giusti per intervenire su un territorio
che aveva bisogno di maggiori cure e di nuove idee. Un cambiamento
sostanziale di rotta e di mentalità è quello che serve a questo
paese, fermo a politiche anni settanta, che basano le scelte sulla
conta dei voti e si sostengono con la speculazione edilizia. Non si
può più gestire così la pubblica amministrazione.
Sterziamo
bruscamente, a occhi bene aperti, tenendoci forte.