giovedì 24 luglio 2014

PRO-GRAMMA PRO-LOCO

L’attuale amministrazione, consapevole dell’impossibilità di portare avanti uno qualsiasi dei punti del programma che non stia sotto la voce “Eventi e manifestazioni”, ha deciso di giocare il tutto e per tutto, promettendo uno straordinario cartellone di iniziative che si svolgeranno ad Alpignano, qualora venissero riconfermati alla guida della città, tra il 2016 e il 2021. Tanto è possibile, con l’avvento della città metropolitana, che ai piccoli centri non resti che qualche irrilevante funzione, che le trasformi in organizzazioni pro-loco.
Potrebbe quindi essere che Alpignano sia già molto avanti.
Non potendo però prevedere fina da oggi quale percentuale del bilancio destinare alla cultura, e pur sapendo quanta importanza abbia la cultura per formare i cittadini di domani, pare si vada verso la concentrazione di tutte le risorse nell’unica e vera ragione per cui valga la pena di governare il paese: l’organizzazione del Palio.
La task force, composta dalle Associazioni Puro Sangue Italiano, Puro Maschio Italiano, Frivolo Stile Italiano, Virile Stile Latino, i cui esponenti sono tutti accomunati da un’estetica disinvolta, caratterizzata da capelli impomatati raccolti in un codino e scarpe slacciate a causa del tacco interno, ha già raccolto dall’Assessorato delegato le varie specifiche e i requisiti, che vanno tutti nella direzione di spendere pochissimo. L’intervento del settore comunale incaricato ha per fortuna fatto pressioni per inserire un’ulteriore raccomandazione, oltre alle spese contenute: che la figura della donna non ne esca degradata e involgarita. Gli esponenti del gruppo di lavoro dichiarano di condividere in linea teorica questi principi, ma di dover anche rispondere alle più moderne strategie di marketing territoriale, che impongono di soddisfare il gusto medio popolare, che richiede ancora battutacce e corpi seminudi. L’interessante spettacolo Miss maglietta bagnata, che una visione bigotta e retrogada ha cancellato quasi ovunque dai cartelloni estivi degli eventi di massa, verrà certamente riproposto, ma, in ossequio alle prescrizioni del committente, la tradizionale maglietta bianca verrà sostituita da una t-shirt nera slabbrata e lacera, con sopra riprodotte le principali caratteristiche sessuali secondarie del corpo femminile.
Questo, come altre simpatiche iniziative, costituiranno l’avanguardia del programma elettorale. Non manca infatti una serie di proposte a corollario del Palio: “Aspettando il palio”, serate ansiogene che stimolino l’aspettativa dell’evento clou, e un più modesto “Il Palio sta findendo”, con tanto di colonna sonora che richiama la nota canzone che ha dato fama i fratelli Righeira, che cerca di trasmettere agli spettatori la sensazione che le imminenti villeggiature, senza il palio, non potranno che essere tristi e squallide.
Dopo aver riso fino alla lacrime per il divertimento assicurato, l’organo esecutivo ha dato il via agli studi di fattibilità, che renderanno operativi i vari format, stanziando ingenti risorse per questa fase preliminare.

Intanto, come straordinaria anticipazione di quanto ci cambierà la vita se verrà rieletto, il Sindaco informa, con una massiccia campagna di informazione su tutti i media locali, che già il prossimo anno i figuranti del Palio, durante la simulazione della strenua difesa della città da parte dell’esercito, anziché sparare cartucce a salve spareranno i moduli precompilati della Tasi. Questo darà anche involontariamente corpo, pur soddisfacendo il solo desiderio di conquistare il cuore dell’elettorato, a un imprevedibile effetto collaterale di rinascita di valori collettivi, sogno di tutti i più visionari e futuristici aspiranti Sindaco: nel cercare i rispettivi destinatari del modulo Tasi, gli alpignanesi riscopriranno la bellezza dell’attenzione reciproca, chiedendo a chiunque incrocino “è lei il signor Tettucci?”, e il valore della solidarietà, verso coloro i quali purtroppo avranno il modulo illeggibile per le bruciacchiature e dovranno provvedere al pagamento con la solita incertezza e l’inevitabile coda agli sportelli. 

venerdì 18 luglio 2014

A TUTTA BIRRA!

A noi italiani (per una volta concedeteci qualche luogo comune) manca proprio la volontà di rispettare le regole. Che ci vadano di mezzo gli altri o la nostra salute, godiamo di questa sorta di insubordinazione, soprattutto quando siamo alla guida dell’auto. Ci piace superare con la doppia striscia le code, bruciare il rosso, ma soprattutto ci piace un sacco andare veloci.
Il problema dell’alta velocità è un fatto molto serio.
Due anni fa, all’approvazione del bilancio, avevamo proposto un emendamento che prevedeva di installare un Vista Red (che scatta foto a chi passa con il rosso) su via Garibaldi, che riteniamo soffra di una viabilità veicolare piuttosto sfrenata. A cominciare da lì, tra l’altro, poiché il problema sussiste in molte altre zone, peraltro prive di marciapiedi e con le uscite delle abitazioni direttamente sulla carreggiata. Pericolosissime se hai bambini piccoli che escono di corsa da casa o vanno in bicicletta.
Tornando al nostro emendamento, il Sindaco non lo accolse, perché disse di non voler “vessare i cittadini”. Ma da che punto di vista si osserva il fenomeno? Vuol dire che la sicurezza dei cittadini vale meno di qualche voto perso perché qualche testa calda vuole passare con il rosso?
In realtà il Vista Red consente di multare chi non rispetta le regole; non è una vessazione. Una vessazione sono le aliquote Imu ai massimi storici, il tranello della Tasi, le rette dell’asilo nido, il vigile urbano a cui è stata assegnata come principale mission (da quella stessa amministrazione che non vuole vessare i cittadini) quella dell’assedio alle zone a disco orario.
Ogni sistema efficace per ridurre notevolmente l’impatto della velocità e dei rischi dovrebbe invece essere accolto con favore dall’amministrazione, e da tutti quei cittadini che tanto con il rosso non passeranno mai, a tutela della vita e dell’incolumità di tutti.
Via Garibaldi rappresenta una situazione potenzialmente molto pericolosa, così come la provinciale in uscita da Alpignano verso Rivoli, dove regolarmente le auto sfrecciano ben oltre i 50 all’ora, superando spesso altri veicoli in situazioni di assoluto divieto e di scarsissima visibilità. Stesso rischio lo si corre percorrendo la variante alla SS 24, la nuova tangenziale a nord di Alpignano. Guai a rispettare i limiti, si rischia un frontale con un veicolo, perché 70 km orari è considerato un limite troppo basso e l’italiano si auto-regola decidendo di andare più forte e superando i lumaconi.
E di situazioni rischiose ad Apignano ce ne sono innumerevoli: i marciapiedi mancano quasi ovunque, e dove ci sono non permettono che due persone si incrocino; non sia mai che una delle due abbia un passeggino, che allora diventa una sfida cavalleresca su chi deve scendere dal marciapiede; di piste ciclabili nemmeno l’ombra; le auto parcheggiano dove vogliono; le fermate dei bus non sono protette, tanto meno quelle dello scuolabus, che si trovano addirittura sulle scarpate. E a un certo punto sono spariti pure i dossi, che almeno facevano rallentare almeno coloro che vogliono molto bene alla propria auto.
Per far fare le strisce pedonali davanti alla scuola Borello e creare un percorso pedonale protetto, che andasse dalla scuola Borello alla scuola Matteotti, tramite semplici dissuasori, si sono dovute raccogliere le firme di 7 classi e si è dovuto aspettare qualche mese, affinché gli uffici tecnici prendessero in considerazione il problema e si organizzassero per un lavoro da niente.
Ci sono tanti piccoli esempi come questo, di cui nessuno si è mai occupato.
Noi crediamo che la sicurezza e l'educazione stradale siano temi che devrebbero essere al centro dell’agenda politica: sicurezza e rispetto di tutti, di chi va a piedi, di chi va in bicicletta, di chi va in auto. Abbiamo ancora un tipo di traffico assai promiscuo e sono aumentati i rischi connessi alla guida: se siete osservatori dei fenomeni vi accorgerete che ormai buona parte degli automobilisti guida guardando più il monitor del proprio cellulare che oltre il parabrezza.
I comportamenti scorretti si stanno moltiplicando, proprio quando dovremmo pensare che l’educazione, il progresso della civiltà, i buoni esempi per antonomasia e le tradizionali buone pratiche dovrebbero ormai aver fatto scuola. Se poi aggiungiamo un fisiologico stato di distrazione e il crescente abuso di alcol, riuscire a tornare a casa indenni dopo un viaggio in auto è come un tempo tornare da una battuta di caccia senza essere azzannato da fiere e serpenti velenosi. Evidentemente l’uomo ha bisogno di stimolare l’adrenalina e in una società come la nostra non ci sono rimasti poi tanti modi…

Però allora siamo sempre lì: questa situazione ci piace o non ci piace, ci va bene o no, decidiamo di convivere con i nostri limiti (tanto non è mica questa la priorità) e i problemi “minori” restano nel cassetto e così ci tocca sempre sbavare di invidia quando ci capita di viaggiare in una città poco più a nord di noi.

venerdì 11 luglio 2014

PRGC: I NODI IRRISOLTI

Indovinate qual è la prima cosa che siamo andati a guardare, quando abbiamo aperto le tavole del novo piano regolatore? Quale fosse la soluzione urbanistica prevista per la zona di Via verdi e via XXV Aprile. Ebbene: non c’è assolutamente traccia di soluzione.
Questo è uno dei nodi irrisolti a cui l’enfatizzato piano, quello che da 20 anni il comune e i cittadini stanno aspettando, non dà soluzione.
Vediamone alcuni, tra i più rilevanti, ricordando come tutto il piano si ispiri ai concetti di SOSTENIBILITA' – ammesso che si sia spiegato da qualche parte che cosa si intenda per sostenibile.
  • MOBILITA' E VIABILITA'
Da dove si evince il progetto sulla viabilità? Come dialoga Alpignano con l’area metropolitana? Con l’aeroporto, con il capolinea della metropolitana? Ci limitiamo a riconoscere il sistema delle tangenziali come unico sostegno al traffico, e la presenza della stazione ferroviaria, che peraltro ha ancora la stessa funzione che poteva avere negli anni ‘50.
Che cosa si è pensati per ridurre o deviare il traffico? Che cosa si fa per la viabilità di tipo pedonale e ciclabile, che è l’unica domanda a restare inesaudita e che rappresenterebbe la vera modernità? Non traspare nulla che parli da solo.
  • CRESCITA DELLA POPOLAZIONE
L’analisi dimostra che dei 20.000 abitanti previsti non se ne è insediato nemmeno uno, ma nonostante ciò abbiamo avuto un incremento di superficie fondiaria di circa la metà di quella prevista.
O le persone abitano in case più grandi, o ci sono molte case vuote, oppure sono aumentate le famiglie (ovvero diminuito il numero dei componenti delle famiglie). Questo tipo di risposta la dovrei trovare, per poter fare le scelte per il futuro. Ma per avere la risposta bisogna essersi fatti la domanda e la domanda non l’abbiamo vista: ovvero non conosciamo la stratificazione sociale, i modelli familiari prevalenti e le tendenze in atto.
Del piano è stato enfatizzato sui media l’aspetto di crescita zero. Invece si prevede una crescita di 1600 persone e quindi non trattasi di piano a crescita zero, ma di segno positivo. Se poi aggiungiamo tutti i PEC, siamo a una crescita addirittura a doppia cifra (sono almeno 4 o 5 i pec che abbiamo già esaminato, oltre la variante del Castello, del 2010, che porta a un incremento stimato di 2000 nuovi abitanti).
Crescita della popolazione significa maggiori pressioni su servizi già in crisi: basti pensare alle liste di attesa per gli asili, ai parcheggi, ai flussi di traffico, all’asl, alla posta.
Maggiore popolazione significa nuovi alloggi. Ma è stato fatto un censimento degli alloggi vuoti e sfitti, come chiede la provincia?
  • CRESCITA ATTIVITA' PRODUTTIVE
Da dove viene la domanda di nuovi insediamenti produttivi? Come sono state fatte queste valutazioni e che previsione c’è per il futuro?
Ci pare invece una controtendenza, ovvero che molte aziende, dati gli esagerati costi dei rifiuti, stiano pensando di andare dove hanno agevolazioni.
Il piano provinciale (art. 21) e regionale impongono la salvaguardia dei terreni di pregio e proprio lì sono stati fatti i cambiamenti di destinazione.
  • SCUOLE
Con quale visione strategica si è deciso di insediare una nuova scuola elementare al posto del Bocciodromo, ovvero nel posto più disagevole, congestionato e inquinato della città. E alcune zone, come Belvedere, o Campagnola, restano quelle meno servite, da quasi tutto (anche solo una farmacia).
  • VERDE
Alpignano gode di parecchio verde, ma è un verde anonimo a scarsamente attrezzato. Che cosa fa il nuovo piano regolatore per cambiare questa connotazione? Lascia sempre il compito ai privati, oppure a strutture sovraordinate, che devono integrare ad esempio le sponde della Dora in un progetto di viabilità ciclopedonale. Il valore del paesaggio è ciò che vedo da dentro casa oppure è quello struggimento per qualcosa che stiamo perdendo e che va trattato come una reliquia?
  • AREE SPORTIVE
Perché si pensa che il polo sportivo vada potenziato e accentrato? Nel tempo Alpignano ha perso le eccellenze della pallavolo, recentemente ha perso il rugby, i campi da calcio appena ristrutturati sono in stato di degrado e abbandono: ci sono idee per reindirizzare l’interesse degli alpignanesi verso un sport strutturato e organizzato? Perché altrimenti un polo sportivo così pensato è un’altra cattedrale nel deserto.
Si doveva fare ai tempi della piscina, ora serve ancora? Servono strutture leggere e attività diffuse, le strutture devono essere non permanenti e presenti su tutto il territorio.
Manca del tutto la connessione con il tema della salute, ulteriore cerniera con le aree attrezzate a verde pubblico, Perché pensare alla salute dei cittadini non significa pensare solo alla collocazione e alla gestione dell’Asl, ma favorire sport e attività all’aria aperta.
  • COESIONE SOCIALE
Alpignano invecchia ed è cresciuto il numero di immigrati. Anche solo sulla base di questi due aspetti è importante che si cominci a pensare a nuovi modi di abitare, di fare esperienza del tempo libero, di percepire i luoghi e di utilizzare la città, i suoi servizi e le sue infrastrutture.
Questo cambia senza dubbio il modo di utilizzare la città; ci vogliono spazi di inclusione, meno barriere architettoniche, luoghi per l’aggregazione.
Anche di questo, che denoterebbe qualche sforzo analitico che vada oltre il semplice aspetto urbanistico, non traspare nulla.
  • CENTRO STORICO
È come osservare un esame di rilievo. Quali potranno essere i passaggi successivi affinché dalla fotografia dello stato di fatto si passi a veri e propri piani di recupero guidati dalla mano pubblica?, Perché se lasciato alla libera iniziativa, l’intervento sul centro storico rischia di portare ulteriore frammentazione. I progetti di recupero dei centri hanno funzionato solo dove c’è stata una chiara idea del senso di centralità e della funzione urbana, insieme a fortissimi incentivi a intervenire.
Non è stato affrontato il tema della destinazione d’uso degli edifici al piano terra, spesso adibiti ad abitazione. Eppure si riscontra che il nostro centro storico ha l’anomalia della quasi assenza di funzioni commerciali. Non c’à una proposta di intervento che miri alla pedonalizzazione e alla creazione di un asse commerciale.
Ma interessa veramente a questa amministrazione? Eppure il programma era chiaro: rinascita del centro storico imperniato sul Castello, con scuola, pedonalizzazione e negozi.
  • DENSIFICAZIONE ATTRAVERSO I VUOTI URBANI
Si nota lo sforzo di recepire quella che è ormai diventato un concetto fondamentale, ma la sua trasformazione in prassi denota una mancanza di convinzione che forse deriva da una formazione architettonica che concepiva l’urbanistica come disciplina che opera prevalentemente nel campo della trasformazione urbana attraverso macro-interventi. Ora la moda detta nuovi modelli, non possiamo più allargare il perimetro urbano, non è più accettabile, anche gli strumenti di livello superiore lo vietano esplicitamente, e quindi si tenta di far crescere la città, perché questo purtroppo resta nel dna di molti amministratori e di molti urbanisti, attraverso una uniforme spalmata di cubatura aggiuntiva su buona parte del territorio già costruito, magari era l’unica parte della città in equilibrio e che non meritava trattamento, perché sono tipologie edilizie sufficientemente compiute e ben servite dal reticolo viario.
L’attenzione si sarebbe dovuta spostare su un’altra parte della città: il centro storico e la città del boom edilizio, anni 60, 70 e in parte anche anni 80. Per fare questo si deve avere un altro approccio metodologico, ovvero lo studio degli spazi residuali, dei vuoti urbani e degli isolati incompiuti, in senso orizzontale e in senso verticale.

Questa riqualificazione si può fare non con l’edilizia, ma con le soluzioni architettoniche. Le nuove generazioni di architetti sono preparate per affrontare queste sfide e le nostre città offrono centinaia di occasioni, per risparmiare suolo e riqualificare l’aspetto del costruito.

domenica 6 luglio 2014

QUI PRODEST?

La presentazione del Piano regolatore ha ricordato a tutti quali sono le bellezze del nostro territorio. Si va dalle sponde della Dora, selvagge e lussureggianti, agli ettari di campi coltivati che circondano l’abitato, le emergenze orografiche che nelle giornate terse rappresentano pienamente l’idea di paesaggio. Tutto ciò comincia ad assumere un ruolo almeno importante quanto lo sono stati fino a ieri il tessuto urbano e, nella loro unicità, i monumenti e i centri storici.
Ma che cosa di tutto ciò viene considerato patrimonio comune da salvaguardare? Quali sono le caratteristiche che cambiano, con questo spostamento di attenzione?
Quando nasce, un piano regolatore nasce già vecchio. A maggior ragione questo, che ha avuto avvio un decennio fa e ha modificato almeno tre volte le linee di indirizzo generali, e quindi la visione politica.
Lo testimoniano alcuni anacronismi nel metodo di lavoro e nel linguaggio, forse anche perché la legge di riferimento è una norma degli anni Settanta, periodo in cui le parole chiave erano standard e zonizzazione, concetti di cui ancora si avverte la presenza. D’altra parte è possibile che certe visioni possano essere abbracciate in modo convinto solo dalle generazioni autrici e protagoniste dei processi di rinnovamento, per non essere un semplice adattamento, magari in modo non pienamente condiviso, allo spirito dei tempi.
La novità la si presenta sotto forma di un concetto ormai abusato, che è quello della “sostenibilità”, una parola d’ordine, diventata presto di moda, che lancia un messaggio politically correct, che non può mancare, talmente divenuto un tormentone, che quasi non si sa più che cosa voglia dire, così come è successo per tutti i termini suggestivi di cui si è appropriato il burocratese: la sinergia, l’interscambio, la “liquidità”, adesso il “2.0”.
Chissà quali saranno le nuove frontiere delle espressioni politiche che serviranno a coprire con un essere “up to date” di maniera un modo di fare sempre uguale. Tanto che oggi questo termine è ripetuto come un mantra anche da soggetti insospettabili, che poi, ad esempio, di fatto finanziano grandi opere o grandi eventi, che con il concetto di sostenibilità non hanno nessuna riconoscibile intersezione.
Ma come si riconosce effettivamente una scelta sostenibile?
Sostenibile parrebbe essere una città che non consuma più suoli agricoli ma cresce su se stessa. E questo di per se è già una conquista epocale, in antagonismo a una visione di sviluppo che, in altri luoghi del mondo, sconta ancora la misura del progresso cancellando per sempre territorio naturale.
Però siamo anche consapevoli che spesso le idee di sostenibilità alla base delle politiche di trasformazione urbana non sono poi seguite dai fatti.
Riuso, recupero, riciclaggio urbano, uso dei suoli zero, salvaguardia del paesaggio sono tutti termini di una modernità, che deve incontrare la fattibilità nei processi di modifica delle norme attuali.
A che cosa quindi, e a chi serve questo piano? Fa abbastanza per cambiare il volto di Alpignano nei prossimi dieci, quindici anni?
Uno dei principali obiettivi che si doveva porre non è il recepimento delle indicazioni cogenti dei piani regionale provinciale, ma di creare una interconnessione tra le parti di città, una rifunzionalizzazione degli spazi pubblici e il miglioramento della qualità architettonica del centro abitato. Ci sono i margini per migliorare questo lavoro che ha fatto una buona fotografia dell’esistente, proponendo qualche piccola operazione di trasformazione urbana che però non ha nessuna delle caratteristiche che stanno in premessa, ovvero di ricucitura, di riaggregazione, di mobilità sostenibile.
Il lavoro è prettamente accademico. Sono stati usati i colori al posto dei retini. Sono state censite le piante, gli edifici, congelato il centro storico a un dato punto zero. Ma quello che conta davvero è capire nelle mani di questa amministrazione che cosa diventerà questo lavoro.
Con queste premesse un piano deve essere uno strumento capace di generare delle economie, che sono sempre state fino a oggi la rendita fondiaria, la speculazione edilizia, gli oneri di urbanizzazione. Tutte cose che oggi noi vediamo, con occhi nuovi, come negative. Ma con che cosa le sostituiamo? Qualcuno sta già cominciando a capire che il benessere di una società non è più soltanto determinata da indicatori di ricchezza tradizionali, ma dalla qualità della vita sociale, dalla percezione della sicurezza, dei servizi e della cultura, dalla disponibilità di territorio naturale. Sappiamo bene quanto tutto ciò oggi costituisca il limite di questo modello di sviluppo, e sappiamo anche che dovremmo cambiarlo, ma non sappiamo come. I piccoli centri urbani conservano ancora delle caratteristiche tali per cui tutti questi valori possono essere potenzialmente recuperati.


Spetterà a chi lo eredita interpretarne le potenzialità.